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ALBA  E TRAMONTO

Le notti senza sonno riempiono il cuscino
di un desiderio fatto di nulla, il nostro.
La notte si spegne con un soffio di fiato...
Giunge l'alba, un nuovo giorno chiama;
la luce penetra tra le vene e nel sangue,
tra i mille colori che la natura regala.
Fà visita il tramonto, dal suo intenso colore,
pronto a dar il benvenuto alla sera;
madre di pensieri e giovani passioni...
Allevatrice di amore e di desideri carnosi.
Tra l'alba e il tramonto ammirare il cielo,
ammirare il mare, specchiarsi al sole...


piero papasodero

ALBE TRAMONTI

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IL MARE

Il mare…..  sensazioni vitali,

sublimazioni essenziali dei pensieri,

ora evanescenti, ora rarefatti......

  respiro!

Odore salmastro,

 il vento che viene dal mare porta odori e sapori

che stimolano i ricordi......

il movimento ondulante e morbido

 delle onde che lambiscono la sabbia....

 ed una conchiglia deposta con cura,

 a riposare lì, sul bagnasciuga.

Osservo la linea dell'orizzonte,

giunzione tra mare e cielo.....in fondo,

oltre quella linea immagino un mondo,

 un altro vivere.

Il mondo della speranza, dell'amore,

 dei pensieri mai fraintesi,

 delle aspirazioni mai tradite.

 Mi perdo nei miei pensieri mentre passeggio,

ed osservo le orme sulla sabbia,

fatiscenti segni del passaggio di una vita.

 E penso ad altri segni,

 orme permanenti nel mio animo impresse.

Raccolgo conchiglie, una per ogni pensiero,

una per ogni ricordo che questo panorama,

 questo respirare mi consegna alla mente.

Raccolgo ed infilo in tasca,

le mani piene che stringono

 come a volere trattenere

 ed alla fine mi sento svuotato e libero....

Più conchiglie raccolgo

 tanto più tensione libero da me.

E mi ritrovo le tasche piene

ed ancora di più,

 l'animo è leggero, come dopo una confessione ....

e gli occhi lucidi,

 lacrime che da tempo trattengo.....

ed una lacrima scivolando rotola e si ricongiunge la mare.

Vita alla vita.

Il sole è tramontato,

 il freddo comincia a ferire il volto, le mani....

E' ora di andare....

 

piero papasodero

Vicolo  ( SALVATORE  QUASIMODO)

Mi chiama talvolta la tua voce
e non so che cieli ed acque
mi si svegliano dentro:

una rete di sole che si smaglia
sui tuoi muri ch'erano a sera
un dondolio di lampade
dalle botteghe tarde
piene di vento e di tristezza.

Altro tempo: un telaio batteva nel cortile
e s'udiva nella notte un pianto
di cuccioli e bambini.
Vicolo: una croce di case
che si chiamano piano,
e non sanno ch'è paura
di restare sole nel buio.

 

AUTUNNO

benché senta l'inverno ormai vicino.
Il bosco scherza con le foglie gialle
benché l'inverno senta ormai alle spalle.
Ciancia il ruscel col rispecchiato cielo,
benché senta nell'onda il primo gelo.
é sorto a piè di un pioppo ossuto e lungo
un fiore strano, un fiore a ombrello, un fungo.

M. Moretti

AUTUNNO E I SUOI FRUTTI

IL TRENO

 

Il treno mi portava l'altro ieri
in un luogo del resto non lontano,
volavan nella corsa i miei pensieri
mentre mi distraevo piano piano,
e a un certo punto, mentre che pensavo
mi sono scordato pure dove andavo.

Forse dormivo, e allora al treno ho chiesto
dove mai mi portasse quel suo andare,
lui m'ha risposto: "Io giammai m'arresto
e ti porto in un luogo da sognare,
ragion per cui non fare alcun commento,
lascia che ti trasporti il sentimento.

Ti conduco ove sempre spera il cuore,
in spazi sconfinati che tu sogni,
eterni di bellezza, amici, amore,
che sanno soddisfare i tuoi bisogni.
Non so, amico mio, se tu hai capito,
io ti porto con me... nell'infinito."

La campagna d'intorno allor vedevo,
dopo che m'ero dal torpor svegliato,
all'illusione avuta ancor credevo
perché m'aveva molto affascinato.
Mi riscosse stridore di frenata,
guardai fuori... era la mia fermata.

 

piero papasodero

FERROVIE, TRENI E FERROVIERI

Spesso si sale e si scende, ci sono incidenti, a qualche fermata

ci sono delle sorprese piacevoli e a qualcun'altra profonda tristezza.

Quando nasciamo e saliamo sul treno, incontriamo persone,

in cui crediamo, che ci accompagneranno durante buona parte

del nostro viaggio: i nostri genitori.

Capita spesso che loro scendano in una stazione prima di noi

lasciandoci un grande vuoto in termini di amore e affetto,

senza più la loro amicizia e compagnia.

Ma altre persone salgono sul treno; e qualcuna sarà per noi molto

importante, sono i nostri fratelli e sorelle, i nostri amici e tutte le

persone meravigliose che amiamo, e qualcuna di queste persone

che sale, considera il viaggio come una breve passeggiata.

Altri trovano, invece, una grande tristezza nel loro viaggio.

E poi ci sono altri ancora, sul treno, sempre presenti e sempre

pronti ad aiutare coloro che ne hanno bisogno, qualcuno lascia,

quando scende, una nostalgia perenne...

Ci sorprende che qualcuno dei passeggeri, a cui vogliamo più bene,

si segga in un altro vagone e che in questo frangente

ci faccia fare il viaggio da soli. Allora facciamo in modo di trovarlo

spingendoci alla sua ricerca negli altri vagoni del treno.

Purtroppo, qualche volta, non possiamo accomodarci al suo fianco,

perché il posto vicino è già occupato.

 

Così è il viaggio: pieno di sfide, sogni, fantasie, speranze e addii...

Cerchiamo di compiere il ns. viaggio nel miglior modo possibile.

Il grande mistero del viaggio è che non sappiamo

quando scenderemo definitivamente, e tantomeno quando

i nostri compagni di viaggio lo faranno;

neanche chi sta seduto proprio vicino a noi.

Mettiamocela tutta per lasciare, quando scendiamo, un posto vuoto, che

trasmetta nostalgia e bei ricordi in coloro che proseguono il loro viaggio.

BUON VIAGGIO!

 

 

Va’ treno va’…

attraversa paesi e città,

vagoni pieni di gente,

c’è chi sale c’è chi scende.

S’incrociano come in una lenta danza,

valige, sogni  ed una speranza .

C’è chi scende dopo qualche fermata…

l’hai appena conosciuta e se n’è andata;

chi prosegue  alla fine il lungo viaggio,

lasciando  un impronta ed un messaggio.

Su questo treno son salito anch’io,

ma quale fermata scendo lo sa  Dio.

Il biglietto è di sola andata, e senza  ritorno,

e il viaggio può durar cent’anni o solo un giorno;

in prima classe o in seconda classe poco conta,

conta solo la traccia che hai lasciato,

e se in questa vita  hai poco o tanto amato.

 

piero papasodero

 

 

 


LE CASTELLA   (da  WikipediA)

Il nome odierno Le Castella fu dato in epoca moderna, poiché in passato ebbe vari nomi tra cui Castra Annibalis. Etimologicamente ricalca il plurale neutro del latino, indicante l'origine quasi leggendaria del paese. Tra le persone locali si tramanda l'antica esistenza di sette castellidislocati in un arcipelago oramai sott'acqua, che porta dunque il nome attuale come atto testimoniante. Ebbe una considerevole importanza dal punto di vista strategico-militare.La storia di Le Castella è lunga e segue più o meno le stesse vicende dei territori circostanti. Per i suoi paesaggi che destavano ammirazioni tra i viaggiatori antichi, Le Castella fu oggetto di tante leggende e addirittura, secondo alcuni studiosi, l'isola di Calypso descritta da Omero nella suaOdissea, sarebbe da collocarsi proprio nelle vicinanze del borgo (in alcune cartine geografichemedievali, c'è la presenza del nome Calypso su una delle isolette che distavano a pochi metri o chilometri da Le Castella).Le Castella sarebbe dapprima nata come colonia romana (ma resti di muratura greca nel retro della fortezza potrebbero smentirla). Alcune leggende raccontano di come Annibale si rifugiò sotto alcuni scogli della scogliera e da lì scappò dai romani, durante l'epoca delle guerre puniche. Nell'alto medievo abbiamo pochi dati del paese, abbiamo invece alcuni dati nel basso medioevo che attestavano un benessere economico ed un incremento demografico ( nel XIII sec. il borgo toccava oltre 2000 abitanti ) ; resti di questo antico benessere sono l'edificio religioso monastico, di cui rimangono certi ruderi, situato un po' fuori dal paese. Nel XIV sec. fino al XVI sec. seguì le vicende storiche del regno di Napoli, in alcuni momenti Le Castella faceva una parte attiva nell'esito dei governi. A Le Castella ci fu la resitenza al dominio degli aragonesi, da parte degli abitanti del borgo che erano fedeli agli Angioini ; dopo una lunga resitenza ove quasi tutta la popolazione si barricò dentro la fortezza, gli Aragonesi ebbero il dominio della fortezza e del borgo. Dal XVI sec. fino al XVIII sec. il paese e la sua fortezza diventarono scenari delle invasioni turche. Gli ottomani misero a ferro e fuoco l'intero borgo, uccidendo e rapendo la quasi totalità degli abitanti Nel 1536 il celebre corsaro barbaresco Khayr al-Din Barbarossa vi rapì Giovanni Dionigi Galeni, divenuto famoso come ammiraglio e corsaro con il nome di Uluç Ali Paşa. Dal XVII sec

 

LE CASTELLA

QUANDO FU IL GIORNO DELLA CALABRIA

 

di LEONIDA REPACI

 

 Quando fu il giorno della Calabria Dio si trovò in pugno 15000 km. quadrati di argilla verde con riflessi viola. Pensò che con quella creta si potesse modellare un paese di due milioni di abitanti al massimo. Era teso in un maschio vigore creativo il Signore, e promise a se stesso di fare un capolavoro. Si mise all’opera, e la Calabria uscì dalle sue mani più bella della California e delle Hawaii, più bella della Costa Azzurra e degli arcipelaghi giapponesi. Diede alla Sila il pino, all’Aspromonte l’ulivo, a Reggio il bergamotto, allo Stretto il pescespada, a Scilla le sirene, a Chianalea le palafitte, a Bagnara i pergolati, a Palmi il fico, alla Pietrosa la rondine marina, a Gioia l’olio, a Cirò il vino, a Rosarno l’arancio, a Nicoterail fico d’India, a Pizzo il tonno, a Vibo il fiore, a Tiriolo le belle donne, al Mesima la quercia, al Busento la tomba del re barbaro, all’Amendolea le cicale, al Crati l’acqua lunga, allo scoglio il lichene, alla roccia l’oleastro, alle montagne il canto del pastore errante da uno stazzo all’altro, al greppo la ginestra, alle piane la vigna, alle spiagge la solitudine, all’onda il riflesso del sole. Diede a Cosenza l’Accademia, a Tropea il vescovo, a San Giovanni in Fiore il telaio a mano, a Catanzaro il damasco, ad Antonimina il fango medicante, ad Agnana la lignite, a Bivongi le acque sante, a Pazzano la pirite, a Galatro il solfato, a Villa San Giovanni la seta greggia, a Belmonte il marmo verde. Assegnò Pitagora a Crotone, Orfeo pure a Crotone, Democede pure a Crotone, Almeone pure a Crotone, Aristeo pure a Crotone, Filolao pure a Crotone, Zaleuco a Locri, Ibico a Reggio, Clearco pure a Reggio, Cassiodoro a Squillace, San Nilo a Rossano, Gioacchino da Fiore a Celico, Fra’ Barlaam a Seminara, San Francesco a Paola, Telesio a Cosenza, il Parrasio pure a Cosenza, il Gravina a Roggiano, Campanella a Stilo, Mattia Preti a Taverna, Galluppi a Tropea, Gemelli-Careri a Taurianova, Guerrisi a Cittanova, Manfroce a Palmi, Cilèa pure a Palmi, Alvaro a San Luca, Calogero a Melicuccà, Rito a Dinami. Donò a Stilo la Cattolica, a Rossano il Patirion, ancora a Rossano l’Evangeliario Purpureo, a San Marco Argentano la Torre Normanna, a Locri i Pinakes, ancora a Locri il Santuario di Persefone, a Santa Severina il Battistero a Rotonda, a Squillace il Tempio della Roccelletta, a Cosenza la Cattedrale, a Gerace pure la Cattedrale, a Crotone il Tempio di Hera Lacinia, a Mileto la zecca, pure a Mileto la Basilica della Trinità, a Santa Eufemia Lametia l’Abbaziale, a Tropea il Duomo, a San Giovanni in Fiore la Badia Florense, a Vibo la Chiesa di San Michele, aNicotera il Castello, a Reggio il Tempio di Artemide Facellide, a Spezzano Albanese la necropoli della prima età del ferro. Poi distribuì i mesi e le stagioni alla Calabria. Per l’inverno concesse il sole, per la primavera il sole, per l’estate il sole, per l’autunno il sole. A gennaio diede la castagna, a febbraio la pignolata, a marzo la ricotta, ad aprile la focaccia con l’uovo, a maggio il pescespada, a giugno la ciliegia, a luglio il fico melanzano, ad agosto lo zibibbo, a settembre il fico d’India, a ottobre la mostarda, a novembre la noce, a dicembre l’arancia. Volle che le madri fossero tenere, le mogli coraggiose, le figlie contegnose, i figli immaginosi, gli uomini autorevoli, i vecchi rispettati, i mendicanti protetti, gl’infelici aiutati, le persone fiere leali socievoli e ospitali, le bestie amate. Volle il mare sempre viola, la rosa sbocciante a dicembre, il cielo terso, le campagne fertili, le messi pingui, l’acqua abbondante, il clima mite, il profumo delle erbe inebriante. Operate tutte queste cose nel presente e nel futuro il Signore fu preso da una dolce sonnolenza, in cui entrava il compiacimento del creatore verso il capolavoro raggiunto. Del breve sonno divino approfittò il diavolo per assegnare alla Calabria le calamità: le dominazioni, il terremoto, la malaria, il latifondo, le fiumare, le alluvioni, la peronospora, la siccità, la mosca olearia, l’analfabetismo, il punto d’onore, la gelosia, l’Onorata Società, la vendetta, l’omertà, la violenza, la falsa testimonianza, la miseria, l’emigrazione. Dopo le calamità, le necessità: la casa, la scuola, la strada, l’acqua, la luce, l’ospedale, il cimitero. Ad esse aggiunse il bisogno della giustizia, il bisogno della libertà, il bisogno della grandezza, il bisogno del nuovo, il bisogno del meglio. E, a questo punto, il diavolo si ritenne soddisfatto del suo lavoro, toccò a lui prender sonno mentre si svegliava il Signore. Quando, aperti gli occhi, potè abbracciare in tutta la sua vastità la rovina recata alla creatura prediletta , Dio scaraventò con un gesto di collera il Maligno nei profondi abissi del cielo. Poi, lentamente rasserenandosi, disse: - Questi mali e questi bisogni sono ormai scatenati e debbono seguire la loro parabola. Ma essi non impediranno alla Calabria di essere come io l’ho voluta. La sua felicità sarà raggiunta con più sudore, ecco tutto.

Utta a fa juornu c’a notti è fatta -. Una notte che già contiene l’albore del giorno.

CALABRIA

VECCHIE CARTOLINE DI CROTONE